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Perdona te stesso

Secondo numerose teorie tutto ciò che ci accade acquista significato in base a come viene interpretato da noi stessi. Ciò che accade è ciò che è in base al modo in cui lo percepiamo, e la nostra percezione varia in base al nostro stato d’animo in un dato momento.

Le nostre percezioni cambiano il mondo

Per esempio, immagina che sia mattina presto. Stai uscendo di casa per andare a lavoro, ma purtroppo sei già in ritardo. Andando verso la tua auto parcheggiata sotto casa, noti che c’è qualcosa che non va. La gomma è a terra. Tutto va storto. Già hai passato la notte appena trascorsa completamente in bianco. Quale sarebbe la tua reazione di fronte ad un simile scenario? Molto probabilmente ti innervosiresti ancora di più di quanto lo eri appena chiusa la porta.

Immagina la stessa situazione, con l’unica differenza che il tuo umore è sereno e tranquillo. La nottata appena trascorsa è stata molto piacevole e rilassante. La sera prima hai trascorso dei momenti di relax con gli amici. Non sei in ritardo e nessuno controlla a che ora arriverai a lavoro. Come reagiresti alla vista della ruota bucata? Sicuramente non ti arrabbieresti come nel primo caso, ma troveresti con calma una soluzione.

Vedi, quindi, che si reagisce ai singoli avvenimenti in maniera diversa? A questo punto della lettura ti starai chiedendo il perché di questo ragionamento. Ti ho fatto questo esempio per introdurti l’argomento di questo nuovo articolo. Come reagire alle situazioni avverse?

Come funziona il perdono?

Per cercare di rispondere a questo interrogativo vorrei citare un passo tratto da PNL è libertà, un libro di Richard Bandler e Owen Fitzpatrick. È molto interessante la risposta che ha dato Bandler, co-fondatore della PNL, alla domanda di Fitzpatrick su cosa egli pensasse del perdono. Bandler rispose che il perdono non era tra le sue occupazioni, perché il perdono per lui non sussiste. Argomentava questa posizione perché due erano le possibilità in base al perdonare una persona. Nel primo caso era possibile che l’individuo con un comportamento errato nei suoi confronti avesse smesso di comportarsi in quella data maniera, permettendo di dimenticare il misfatto. Al contrario, qualora l’individuo avesse continuato a mantenere un atteggiamento offensivo, molto probabilmente Bandler l’avrebbe allontanato ancora prima di doverlo perdonare, per non rimanere ulteriormente ferito. Riteneva infatti che il perdono prevedesse l’intento di fare qualcosa, quando in realtà colui che avrebbe dovuto compiere un qualche gesto sarebbe stato l’altra persona, quella da perdonare secondo il senso comune. Quest’ultima infatti, anziché essere perdonata da una persona diversa da sé, avrebbe dovuto mettere in moto un processo di miglioramento della propria persona. Bandler vedeva il perdono come lo intendiamo comunemente, come una convinzione ispirata dal pensiero cristiano.

Perdono come atto di presunzione

Sebbene possa apparire alquanto tortuoso questo ragionamento, è molto giusto, ed  è una spinta alla riflessione. In effetti l’atto del perdono nei confronti di una persona potrebbe essere un peccato di presunzione. Chi sono io per poter perdonare un mio simile? Non sono di certo Dio.

Facciamo però un passo indietro. Se interpretiamo i fatti in base alla nostra predisposizione d’animo, come appunto abbiamo ipotizzato all’inizio dell’articolo, perché mai dovrei offrire il mio perdono ad un altro individuo, quando una data situazione avrei potuto interpretarla io in base ad una mia predisposizione momentanea?

Forse l’atto più  giusto da compiere è non il perdonare gli altri per un atto compiuto, ma perdonare la mia persona per ciò che ferisce me stesso  nella quotidianità. In effetti, forse ciò che conta è il perdonare appunto se stessi, prima di poter perdonare gli altri.

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