I dati rilevati dagli ultimi studi sono allarmanti: circa tre quarti dei rifiuti che infestano le coste australiane sono costituiti da plastica e vengono ingeriti dalla fauna selvatica che così risulta seriamente minacciata. La Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO), dopo un accurato censimento che ha condotto all’analisi della costa australiana a intervalli regolari di circa cento chilometri, ha stilato un accurato rapporto, diventato il più grande database mondiale dei rifiuti marittimi. Denise Hardesty, scienziata che lavora presso l’istituto di ricerca, afferma che “la maggior parte dei rifiuti di plastica che si trovano lungo le coste provengono da fonti australiane e mostrano una concentrazione più elevata nei pressi delle città”. Il rapporto è frutto di una ricerca triennale e di un programma educativo sviluppato da Earthwatch Australia insieme alla CSIRO e al gruppo energetico Shell e ha mostrato come nel continente australiano ci siano due fonti principali di inquinamento: i rifiuti urbani e gli scarichi illegali. Tra la spazzatura censita i ricercatori hanno trovato: bottiglie di plastica, lattine, borse, palloni, pezzi di gomma, metallo e fibra di vetro oltre ad attrezzature da pesca e altra oggettistica varia scaricata direttamente in mare o nei suoi dintorni.
L’impatto dei rifiuti sulla vita marittima
Il rapporto dichiara che le conseguenze di questo inquinamento per la vita legata al mare sono terribili: rischi per la navigazione, soffocamento della barriera corallina, trasporto di specie invasive, danni al turismo nonché minaccia di morte o di gravi danni per tutta la fauna legata all’ecosistema dell’oceano. Per gli animali infatti, oltre alle problematiche legate a un’eventuale ingestione, sussistono i rischi derivanti dall’immissione in mare di sostanze chimiche nocive. L’allarme è alto soprattutto per le specie di piccole tartarughe che spesso ingeriscono la plastica, soffice e trasparente, poiché tanto somiglia alle meduse di cui si cibano abitualmente questi animali. Gli effetti letali più rischiosi derivanti dall’ingestione tuttavia, così recita il rapporto, riguarderebbero le tartarughe liuto, ad oggi la più grande specie di tartaruga marina conosciuta, e la tartaruga verde.
Una minaccia anche per gli uccelli
Gli uccelli dal canto loro non corrono meno rischi: si cibano di qualunque cosa incontrino, dai palloncini alle corde; il rapporto ha rilevato come il 43 per cento degli uccelli marini presenti tracce di plastica nella gola con una concentrazione massima nel mar della Tasmania, che si estende tra Australia e Nuova Zelanda, e nella zona più a sud dell’Oceano. Sulla base dei dati analizzati la CSIRO prevede che, considerato il continuo aumento della produzione di plastica, l’ingestione del dannoso materiale da parte degli uccelli marittimi potrebbe raggiungere ben il 95 per cento delle specie presenti in Australia entro il 2050. La relazione ha perciò rivelato chiaramente il rischio di morte o di danni permanenti per uccelli marittimi, tartarughe, balene, delfini, dugonghi, pesci, granchi, coccodrilli e per molte altre specie che popolano l’oceano se la situazione dei rifiuti non migliorerà. Denise Hardesty arriva addirittura ad affermare che: “Approssimativamente un terzo delle tartarughe marine in giro per il mondo ha ingerito plastica e questo dato è cresciuto da quando la produzione di plastica è aumentata enormemente, vale a dire dal 1950. Possiamo inoltre stimare che un numero di tartarughe compreso tra le cinquemila e le quindicimila sia stato ucciso nel golfo di Carpenatria per via delle reti da pesca abbandonate, molte provenienti non dall’Australia, nelle quali gli animali restano impigliate e muoiono“.