La Storia dell’Australia
Non si può intraprendere un viaggio in questa nazione senza conoscere qualcosa della sua storia più antica e recente. La storia dell’Australia è molto antica e inizia circa 80 milioni di anni fa, quando la massa insulare che oggi compone la nazione si staccò dal grande continente del Gondawa che la univa all’Antartide. I primi insediamenti umani nell’isola risalgono circa a 50000 anni fa quando i primi aborigeni, provenienti probabilmente dalle terre dell’est, arrivarono in questo territorio.
Ci sono volute intere settimane per realizzare questa guida, sarebbe fantastico se tu mettessi un G+1 qui sotto.
STORIA DELL’AUSTRALIA: INDICE
Storia dell’Australia parte 1 : i primi uomini
Storia dell’Australia parte 2 : fuori dall’isolamento
Storia dell’Australia parte 3 : la scoperta dell’Australia
Storia dell’Australia parte 4 : degenerazione e rinascita
Storia dell’Australia parte 5 : i primi migranti volontari in Australia
Storia dell’Australia parte 6 : la corsa all’oro in Australia
Storia dell’Australia parte 7 : la politica razzista in Australia
Storia dell’Australia parte 8 : la prima guerra mondiale in Australia
Storia dell’Australia parte 9 : le conseguenze della prima guerra mondiale
Storia dell’Australia parte 10 : l’Australia entra nella Seconda guerra mondiale
Storia dell’Australia parte 11 : L’emigrazione in Australia dopo la Seconda guerra mondiale
Storia dell’Australia parte 12 : L’Australia nella seconda metà del Novecento
L’arrivo dei coloni europei
Il punto di svolta della storia australiana è però l’arrivo dei coloni inglesi intorno al 1770. Con lo sbarco delle truppe del capitano Cook sull’isola cominciarono i primi insediamenti europei e l’inizio dei problemi per le popolazioni aborigene locali che abitavano le terre.
I colonizzatori europei si appropriarono delle terre dei nativi e finirono con il decimare la loro popolazione (anche a causa delle malattie tipiche dei territori europei alla quale gli aborigeni non riuscirono a far fronte). Gli aborigeni che sopravvissero vennero relegati nelle zone più impervie dell’isola, mentre le zone più fertili e vivibili divennero tutte possedimenti dei coloni.
L’Australia come colonia penale
Di fatto il governo inglese trasformò l’Australia in una colonia penale e infatti, i principali centri che oggi sono diventati enormi città, nacquero proprio con lo scopo di ospitare detenuti e galeotti provenienti dalla madrepatria Inghilterra.
Lentamente, grazie alle favorevoli condizioni offerte dall’isola, l’economia del paese divenne fiorente e bisognosa di altra manodopera. Cominciò quindi intorno ai primi anni del 1800 una vera e propria ondata migratoria dall’Europa verso questo nuovo continente. Vennero fondate le più importanti città, come Melbourne e Adelaide.
La corsa all’oro
L’economia australiana ebbe una nuova importante spinta intorno al 1850 con la scoperta delle miniere d’oro e di pietre preziose dell’entroterra. Queste scoperte contribuirono a portare ancora nuovi abitanti sull’isola, che fondarono i primi centri nelle zone più lontane dalle coste.
La federazione di Stati e la guerra
Con il passare degli anni il bisogno di indipendenza della nazione cresceva sempre di più: nel 1901 l’Australia divenne una federazione indipendente di Stati anche se a capo del paese rimase sempre (ed è così ancora oggi) il sovrano della Gran Bretagna. Durante tutto il corso del 1900 l’Australia cominciò a presentarsi anche sulla scena internazionale partecipando attivamente a tutti e due i conflitti mondiali. In particolare i suoi sforzi si concentrarono nella Guerra al Giappone durante il secondo conflitto.
Oggi l’Australia è una delle principali potenze del mondo. Considerata in tutti i settori, è stata sede, nel 2000, delle Olimpiadi, ritenute un perfetto esempio di spettacolarità e organizzazione. Oggi è una delle nazioni più riconosciute a livello internazionale e la sua crescita economica, nonostante le numerosi crisi che anche qui si sono fatte sentire, non sembra fermarsi.
I primi uomini in Australia
Come sicuramente molti di voi sapranno l’essere umano, conosciuto nella comunità scientifica col nome di homo sapiens, si è evoluto nel continente africano circa duecentomila anni fa, raggiungendo però lo stato evolutivo attuale solo cinquantamila anni fa, quando cominciò a differenziarsi nelle varie popolazioni del mondo.
Nel frattempo l’Europa, il Medio Oriente e l’Asia erano abitati da un’altra specie di ominidi: l’homo heidelbergensis meglio noto come uomo di Neanderthal, le cui prime testimonianze archeologiche risalgono a quattrocentomila anni fa. Allo stato attuale delle conoscenze pare che la specie di Neanderthal si sia estinta su per giù trentacinquemila anni fa, in coincidenza con l’arrivo dell’homo sapiens in Europa e Asia.
La razza umana infatti, grazie alla sua enorme capacità di adattamento, è l’unica specie di ominidi sopravvissuta all’estinzione ed è stata semmai la concausa dell’estinzione di altre specie.
La prima ondata migratoria verso il sud est del Mediterraneo
Il Genographic Project ha scoperto che i nostri antenati si dispersero a partire dall’Africa nel corso di due ondate migratorie. La prima, risalente a circa centottanta mila anni fa, li condusse dall’Africa dell’est alla costa orientale del Mediterraneo in quell’area conosciuta come Levante.
La seconda ondata: Asia, Australia, Europa ed Americhe
La seconda ondata migratoria, sicuramente la più imponente, condusse l’homo sapiens dall’Africa alla penisola arabica da dove proseguì verso oriente raggiungendo le coste dell‘Asia del sud cinquantamila anni fa. Questa ondata si spinse ancora più giù, fino alle coste del sud est asiatico da dove una parte di migranti si avventurò verso l’Australia, la Nuova Guinea e la costa orientale dell’Asia.
Poco dopo, circa quarantamila ani fa, un altro gruppo di migranti si mosse verso nord: prima in Asia centrale e poi in Europa fino a inoltrarsi nelle gelide terre della Siberia. Infine gli uomini si incamminarono verso il continente americano ventimila anni or sono.
È molto difficile stabilire con certezza le datazioni esatte di questa seconda ondata poiché pare che avvenne soprattutto lungo le coste, buona parte delle quali fu sommersa dodicimila anni fa dallo scioglimento dei ghiacciai al termine dell’ultima era glaciale. Le prove del loro passaggio giacciono così sotto alle profondità del mare e i fossili in nostro possesso forniscono pochi indizi sulla loro storia.
Il difficile passaggio in Australia
Raggiungere il continente australiano per i primi uomini non deve essere stato affatto un compito semplice: una distesa d’acqua parecchio ampia la separa infatti dalla costa del sud-est asiatico. Tuttavia nel corso dell’ultima glaciazione il congelamento di buona parte delle acque deve aver ridotto notevolmente la distanza tra le due aree di terre emerse. Restavano comunque ai nostri antenati circa cinquanta miglia da percorrere in mare aperto, non una bazzecola per l’epoca. Per sopravvivere al viaggio dovettero costruire dei natanti la cui tecnologia superava di gran lunga sia la costruzione di armi che l’accensione del fuoco.
I primi Aborigeni
I primi Aborigeni arrivarono sulla costa nord-ovest dell’Australia in un periodo compreso tra sessantacinquemila e quarantamila anni fa. Pian piano popolarono tutta l’Australia sviluppando un’economia di sussistenza basata sulla caccia e la raccolta di piante commestibili.
Le testimonianze archeologiche inoltre provano che nei passati duemila anni gli Aborigeni intrattennero rapporti con gli abitanti dell’Indonesia del sud scambiando idee, tecnologia e cultura in generale.
Fuori dall’isolamento
Dopo aver messo piede in Australia, gli Aborigeni vissero isolati per circa quarantamila anni. I primi contatti con altri esseri umani risalgono approssimativamente a mille anni fa quando genti provenienti dalla Cina, l’India, la penisola arabica, la Malaysia e le isole del Pacifico iniziarono a esplorare la porzione di oceano che circondava le loro terre. È verosimile che questi esploratori abbiano visitato le coste nord dell’Australia e abbiano effettuato scambi commerciali con gli Aborigeni ivi stanziati.
L’Australia secondo Tolomeo
Intorno al 150 dell’era cristiana un celebre astronomo greco di nome Tolomeo disegnò una cartina geografica di quello che era secondo lui il mondo. Egli suppose che al di sotto dell’Europa dovesse trovarsi una massa di terre: come molti altri nella sua epoca, l’astronomo credeva che una grande terra del sud fosse necessaria per bilanciare i territori dell’emisfero nord. Egli chiamò questa terra, ai suoi tempi ovviamente sconosciuta, la Terra Australis incognita, vale a dire la sconosciuta terra del sud.
Gli Olandesi primi Europei in Australia
Pian piano gli Europei superarono i confini del mondo a loro conosciuto e si lanciarono nell’esplorazione di nuove terre. I primi a raggiungere l’Australia furono gli Olandesi: Willem Janszoon fu il primo europeo a mettere piede sul suolo australiano e, attorno al 1606, tracciò una prima mappa parziale del golfo di Carpentaria. Nel 1616 approdò Dirk Hartog e in due riprese, nel 1642 e nel 1644, Abel Tasman. Gli Olandesi battezzarono la costa ovest dell’Australia Nuova Olanda. Qui arrivò nel 1699 il pirata William Dampier e questo catalizzò le attenzioni degli Inglesi verso la Nuova Olanda.
La scoperta dell’Australia
Nel 1768 l’Inghilterra inviò una spedizione a Thaiti con l’obiettivo di tracciare il transito di Venere attraverso il sole. Incaricato del compito era James Cook, brillante ufficiale della marina britannica e disegnatore di mappe, il quale dopo aver completato il lavoro astronomico decise di andare a vedere se davvero esisteva la Grande Terra del Sud nella quale i navigatori avevano sempre creduto da centinaia di anni. Così, dopo aver circumnavigato la Nuova Zelanda, la spedizione di Cook navigò verso ovest ma il vento risospinse l’Endeavour, questo il nome della nave su cui era imbarcato, facendole raggiungere la costa est dell’Australia nell’Aprile del 1770. Per i successivi quattro mesi Cook si dedicò a disegnare la mappa di questa costa da Eden al golfo di Carpentaria e successivamente, con una semplice e breve cerimonia a Botany Bay, battezzò tutta la costa est dell’Australia New South Wales.
La situazione in Gran Bretagna
Mentre James Cook riscopriva l’Australia e ne tracciava il profilo con delle dettagliate mappe, la Gran Bretagna lentamente modificava la sua struttura economica passando da un sistema feudale a uno industriale. Nel sistema feudale la manodopera principale era fornita dagli schiavi neri deportati dall’Africa: è stato stimato che fino al 1790 le navi britanniche trasportarono circa trentottomila schiavi.
Gli schiavi, spesso con le loro famiglie, vivevano in condizioni abiette a spese del proprietario del feudo e questa situazione alla fine del XVIII secolo divenne oggetto delle critiche dei predicatori evangelici che lottavano per la libertà personale e i diritti dell’individuo. Dal canto loro gli industriali si resero ben presto conto di quanto fosse antieconomico dover mantenere i propri lavoratori con le famiglie dando loro vitto e alloggio, optando volentieri per la scelta di pagare gli operai in base al tempo trascorso sul posto di lavoro. Questa riconversione della manodopera oltre a provocare una massiccia disoccupazione, generò la necessità di importare i beni prima prodotti nei feudi e nelle fattorie che si dedicarono alla sola lavorazione delle materie prime mentre molti feudatari adibirono i loro terreni al pascolo degli animali.
Così i contadini, scacciati dalle terre perché ormai inutili, migrarono in massa nelle città in cerca di lavoro. Ma il lavoro era scarso e presto si sviluppò un sostanzioso strato di criminali dediti a piccoli reati. Povertà, ingiustizia sociale, lavoro minorile, degrado urbano, condizioni di vita insalubri e orari di lavoro troppo lunghi erano la norma nella Gran Bretagna industriale del XVIII e XIX secolo. Le condizioni di vita erano talmente precarie che dal 1700 al 1740 la popolazione dell’Inghilterra registrò una crescita pari a zero. Così mentre oltreoceano la Rivoluzione americana dilagava, Londra era sommersa dai disoccupati e la criminalità era diventata un problema di primaria importanza.
Nel 1784 un viaggiatore francese appuntò che Londra dal tramonto all’alba diventava patrimonio dei delinquenti per un raggio di circa venti miglia. L’Inghilterra all’epoca non aveva un vero e proprio corpo di polizia e la maggior parte dei criminali venivano arrestati grazie agli informatori o alle denunce delle vittime: questa situazione creava ovviamente un terreno fertile per le false accuse e la disputa di futili questioni nelle corti dei tribunali. Nel solo 1770 circa duecentoventi persone furono condannate a morte e quasi tutte per crimini contro la proprietà. Le esecuzioni ormai erano diventate una forma di raccapricciante pubblico intrattenimento: nel 1708 due bambini di sette e undici anni furono impiccati perché accusati di crimini insignificanti. Le carceri esplodevano e il governo era sotto pressione nel tentativo di arginare la situazione.
Nascita della colonia penale in Australia
Joseph Banks
Come deterrente all’agire criminoso il governo britannico, che pure teneva a mantenere un’apparenza di umanità nella crudezza delle sentenze, scelse di deportare i condannati vita natural durante. Si calcola che tra il XVII e il XVIII secolo sessantamila colpevoli furono trasportati nelle colonie nordamericane dell’Inghilterra. Quando però, dopo la Rivoluzione, gli Stati Uniti d’America proclamarono l’indipendenza nel 1776, la Gran Bretagna si vide costretta a guardare altrove e la recente scoperta del capitano Cook attirò l’attenzione del governo.
Fu Joseph Banks, un influente naturalista oltre che ricco mercante partito al seguito di Cook, a convincere il governo inglese che il frutto dell’albero del pane proveniente da Thaiti sarebbe stato una coltivazione ideale nelle Indie dell’ovest per nutrire gli schiavi. Egli inoltre intuì che Botany Bay sarebbe stata un’ottima base strategica per l’Inghilterra nel sud del Pacifico e che era necessario stabilire un insediamento da costruire con il lavoro dei condannati. Una colonia penale sembrava la soluzione ideale per il crescente problema della criminalità e delle conseguenti carceri sovraffollate in tutte le città inglesi. Nonostante creare una colonia praticamente dall’altra parte del mondo in una terra sconosciuta fosse un esperimento molto costoso, la Gran Bretagna decise di creare un bagno penale a Botany Bay sotto la guida del capitano Arthur Philip. Il sistema di usare il lavoro forzato per costruire la colonia venne denominato ‘Government system’.
La morte di James Cook
I viaggi nel Pacifico che procurarono la gloria e l’immortalità al comandante James Cook furono anche la causa della sua morte. Durante la terza spedizione nell’oceano, piuttosto improduttiva e frustante, Cook si era riproposto di trovare il leggendario passaggio a nord-ovest. Giunto allo stretto di Bering però, aveva dovuto fare marcia indietro poiché attraversalo non era nemmeno pensabile data la presenza di ghiaccio.
Nervoso per il fallimento dell’impresa e reso ancor più suscettibile da una persistente gastrite, il comandante approdò alle isole Hawaii che battezzò isole Sandwich dal nome di John Montagu conte di Sandwich e armatore della HMS Resolution, la nave su cui Cook era imbarcato (e che si era pesantemente danneggiata andando a sbattere contro la barriera corallina della quale gli europei fino a quel momento ignoravano l’esistenza).
La scintilla che fece traboccare il vaso fu il furto da parte degli indigeni di una scialuppa della Resolution: preda dei suoi malumori il comandante reagì con sproporzionata violenza nei confronti dei nativi, come spesso peraltro gli capitava di fare con i suoi marinai, e questo gli costò una coltellata in pancia. Il 14 febbraio del 1799 il comandante James Cook, scopritore europeo dell’Australia, esalò il suo ultimo respiro. Che abbia sfidato troppo la sorte? Ci sarebbe da pensarlo dal momento che dopo il suo secondo viaggio nel Pacifico, che lo aveva condotto a scoprire le meraviglie dell’Antartide e dell’isola di Pasqua, Cook si era congedato dalla marina britannica per stare con moglie e figli. Il 14 febbraio in ogni caso sarà bene, tra cuori e cioccolatini, dedicare un pensiero all’uomo che ha scoperto l’Australia per l’Europa: Cook era infatti, eccettuato il dispotismo degli ultimi giorni, un uomo amabile e ben voluto.
Generoso, intelligente, deciso e sagace, il comandante James Cook aveva realmente cura del suo equipaggio al punto che mai nessuno dei suoi uomini si ammalò di scorbuto, la malattia tanto temuta dai marinai, grazie a un’alimentazione ricca di cavoli e agrumi.
Degenerazione e rinascita
Portsmouth, 1787. Una mini flotta composta da undici navi non più grandi di un traghetto salpa dal porto diretta verso l’Australia con a bordo quasi millecinquecento persone tra uomini, donne e bambini.
Sono Inglesi, Africani, Americani e Francesi. Si tratta della prima grande spedizione di deportazione in Australia che dopo tre mesi di viaggio approda, il 24 gennaio 1788, a Botany Bay. Per gli Aborigeni, che hanno vissuto in isolamento per quasi quarantamila anni, è un modo piuttosto sgradevole di avere un primo contatto con gli europei. Tuttavia il destino è ormai segnato: con una semplice cerimonia di insediamento gli Inglesi stabiliscono la loro colonia a Sydney Cove il 26 gennaio 1788.
Le prime difficoltà nella colonia australiana
Poco dopo il suo insediamento, la colonia di Sydney Cove si trovò in uno stato di drammatica penuria di cibo. A peggiorare le cose, le due navi che dovevano portare gli approvvigionamenti dalla madrepatria, la HMS Guardian e la HMS Sirius, naufragarono rispettivamente in Sudafrica e sull’isola di Norfolk.
La colonia si decise così a inviare un proprio mercantile, l’HMS Supply, a cercare rifornimenti in Indonesia. Le speranze sembrarono riaccendersi un giorno del 1790, quando un vascello approdò a Port Jackson. Purtroppo non si trattava del tanto agognato cibo, ma della prima di cinque navi appartenenti a una seconda flotta di deportati con un carico complessivo di oltre settecento persone. Ma a differenza della prima flotta, che aveva tentato di mantenere buone le condizioni di salute dei deportati, questa seconda spedizione, che aveva carattere privato, manteneva i forzati in condizioni sconvolgenti: delle persone a bordo ne morirono oltre duecentottanta, mentre quasi cinquecento si ammalarono, per via della malnutrizione, di scorbuto, dissenteria, febbre.
Pertanto al momento dello sbarco, questo secondo carico di uomini contribuì a prosciugare ulteriormente le già scarse risorse della colonia. Le disperate condizioni erano dovute a due fattori: innanzitutto la nave con i rifornimenti era salpata prima di quelle con i passeggeri e in secondo luogo i comandanti dei vascelli trattenevano per sé la maggior parte delle risorse alimentari, affamando i deportati, per poterle rivendere in seguito, coltivando tra l’altro la torbida speranza che i più morissero in fretta, in modo tale da poter tenere per sé più roba.
Redistribuzione della terra australiana
Inferocito per l’accaduto, il governatore Philip si trovò a dover razionare ulteriormente le poche risorse e, disperato, giunse alla conclusione che era necessario stabilire sul territorio australiano delle fattorie e creare un’economia locale. Agli ex-condannati che avevano terminato il periodo di lavori forzati, venne perciò proposto di rimanere in Australia coltivando trenta acri di terra (che diventavano di più se si era in età da matrimonio e da aver figli) completamente privi di tasse e di quote d’affitto per i successivi dieci anni.
Lo stato provvedeva a fornire tutti i mezzi necessari per il lavoro: macchinari e utensili agricoli, scorte di viveri, sementi, bestiame. L’unico obbligo era di riservare al governo britannico il legname adatto alla costruzione di imbarcazioni. Ben presto le fattorie si diffusero nell’area di Rose Hill, Richmond e Windsor e i coloni si spinsero alla ricerca di nuove aree da destinare alla viticoltura e all’allevamento del bestiame, specie delle pecore da cui ricavare lana.
Questi allevamenti divennero sempre più grandi e i loro proprietari, ex deportati ormai divenuti uomini di affari, si arricchirono a tal punto con le esportazioni di lana nel Regno Unito da riuscire a far deporre il governatore Bligh che tentava di mettere le mani sui loro affari.
La rinascita della colonia grazie al governatore Macquarie
Nel 1810 Lachlan Macquarie prese il controllo del New South Wales e subito restaurò nelle loro vecchie posizioni tutti gli ufficiali che erano stati rimossi a seguito delle Ribellione del Rum. Uno dei suoi primi atti di governo a Sydney fu quello di ridurre il numero delle licenze dei pub che rapidamente passarono da settantacinque a venti.
Immediatamente dopo iniziò il recupero urbanistico che caratterizzò il suo mandato: le strade furono raddrizzate e migliorate, furono costruite nuove caserme per il suo reggimento e il New South Wales Corps fu rispedito in Inghilterra. A Novembre cominciò un tour della colonia che gli permise nel giro di un mese di farsi un’idea delle potenzialità del luogo.
Nuova terra in Australia
A est di Sydney le Blue Mountains rappresentano una barriera fisica naturale ma Macquarie accettò la sfida di cercare attraverso di esse un passaggio. Blaxland, Lawson e Wentworth furono i tre esploratori che nel 1813 riuscirono a trovare un varco scoprendo che oltre le vette si estendeva a perdita d’occhio una rigogliosa pianura.
Per gli affaristi del New South Wales si trattava di una manna dal cielo: infatti nonostante il governo avesse tentato di regolarizzare l’uso della terra suddividendola in tredici contee estese fuori da Sydney per duecento miglia in ogni direzione e dichiarando proibito l’uso del terreno al di fuori di questi confini, i proprietari di bestiame inviarono i pastori a occupare la terra oltre i limiti stabiliti e a pascolare ivi le pecore. A volte autoproclamavano la terra come propria e perciò venivano definiti ‘occupanti’.
Nel frattempo gli Aborigeni venivano sempre più spinti fuori dalla loro terra madre e non di rado uccisi se facevano resistenza. All’incirca negli stessi anni Matthew Flinders stava esplorando la costa del New South Wales e del New Holland. Tra il 1802 e il 1803 egli fu il primo a circumnavigare il continente e a riferirsi con il nome di Australia all’insieme di New South Wales, New Holland e Van Diemens Land.
Migranti volontari in Australia
Per creare un’avanzata (per l’epoca) economia di mercato e risollevare il livello morale della colonia, il governo inglese decise di incoraggiare la migrazione volontaria in Australia e di limitare la libera occupazione del suolo australiano a una durata di quattordici anni. Lo stato si impegnò a pagare il biglietto per il viaggio ai primi migranti e ad aiutarli a mettere in piedi delle fattorie in grado di competere con quelle degli ‘occupanti’ i quali, per ovvie ragioni, non erano molto contenti di questa iniziativa.
Una nuova modalità di emigrazione in Australia
Si calcola che tra il 1830 e il 1850 solo un terzo dei migranti in Australia pagò il viaggio di tasca propria. Al loro arrivo sia i deportati che i migranti volontari, poterono immediatamente constatare come le condizioni fossero di gran lunga migliori rispetto all’Europa e come fosse possibile in quella nuova terra prosperare attraverso duro lavoro e determinazione, così incoraggiarono parenti e amici a raggiungerli. Un’attenzione particolare venne dedicata alle donne che furono supportate, per bilanciare la differenza di genere, e incoraggiate a lavorare come domestiche, a sposarsi e a fare dei figli. Queste furono le modalità che caratterizzarono l’emigrazione in Australia di quasi sessantamila persone tra il 1815 e il 1840.
Il progresso sbarca in Australia
Man mano che il numero dei migranti liberi cresceva, aumentava il desiderio di cancellare l’odiata macchia della deportazione al punto che nel 1852 il governo decise di interrompere il trasporto dei detenuti nel New South Wales. Fino a quel momento erano stati spediti in Australia circa centosessanta mila condannati. Ma la colonia, ormai composta quasi esclusivamente di liberi cittadini, si dimostrò ben presto in grado di riscattarsi dall’onta. I nuovi immigrati liberi portarono infatti con sé tutto il sapere connesso ai cambiamenti scientifici, politici, sociali ed economici che attraversavano in quel momento tutta l’Europa e in particolar modo l’Inghilterra. Ben presto dunque l’Australia, che sarebbe potuta rimanere per secoli una retroguardia del progresso, divenne l’avanguardia dell’età Vittoriana. I coloni non appena venivano a sapere di una qualche innovazione in patria si domandavano ‘Perché non può essere fatto anche qui?’ e immediatamente introducevano la nuova scoperta o invenzione in Australia. Dal canto suo la nazione dava qualcosa in cambio anche al più umile dei migranti.
Una società realmente democratica nasce in Australia
Sebbene anche in Australia le élites dominanti tentarono di instaurare un sistema classista basato su forme di diseguaglianza per nascita, tutti gli immigrati rimasero attoniti per come in quella terra ciascuno venisse giudicato solo in base ai propri meriti o demeriti: persino gli Irlandesi, considerati in Inghilterra come la feccia dell’umanità, potevano diventare rispettabili membri della comunità. Una democrazia dell”onesto sudore’ cominciava insomma a fondare quello che sarà il ‘giusto corso’ dell’Australia nel XIX secolo.
La corsa all’oro in Australia
Nel 1896 gli Inglesi avevano ormai stabilito in Australia sei colonie (New South Wales, Tasmania, Western Australia, South Australia, Victoria e Queensland) ciascuna delle quali era dotata di un governatore, un parlamento e un sistema di governo simile a quello britannico.
Lo sterminio degli Aborigeni australiani
Più la conoscenza e l’occupazione del suolo australiano da parte dei coloni inglesi aumentava, più gli Aborigeni venivano allontanati dai confini della loro terra natia. È stato calcolato che nel 1788, quindi pochi decenni dopo l’arrivo degli europei, il numero degli Aborigeni ammontava a circa trecentomila mentre un secolo dopo questa cifra si sarebbe ridotta ad appena ottantamila unità. Il governo coloniale era interessato a difendere la popolazione nativa dell’Australia e si premurò di farlo attraverso una politica di protezione. Dal 1880 al 1930 gli Aborigeni furono incoraggiati a vivere nelle riserve e nelle missioni, separati dagli altri australiani e furono costantemente riforniti di cibo, abiti e coperte , in alcuni casi venne loro data un’educazione di base. Dal canto loro i proprietari terrieri li usavano spesso come mano d’opera economica o addirittura come schiavi.
La febbre dell’oro esplode in Australia
La scoperta di giacimenti auriferi in Australia fu uno shock per la nazione. Edward Hargraves convinse gli abitanti di Sydney che poco fuori da Bathurst, in New South Wales, si trovava l’oro e nel giro di un mese circa trecento cercatori si radunarono nell’area indicata. Poco dopo l’oro fu trovato anche nelle aree di Bendigo e Ballarat, in Victoria, e così i cercatori cominciarono a spostarsi tra queste due aree dando origine a una vera e propria corsa all’oro. Con così tante persone impegnate nella ricerca dell’oro, gli altri affari andavano a rotoli: la gente cominciò a comportarsi in maniera irrazionale investendo tutte le proprie risorse nell’impresa e abbandonando le famiglie. Le città di minatori sorgevano nel giro di una notte a Sofala, Hill End, Ophir, Forbes e Lambing Flat. Nell’eccitazione del momento i marinai disertarono gli equipaggi lasciando i vascelli deserti nei porti, i pastori abbandonarono le greggi, gli impiegati, i funzionari governativi, gli insegnanti, i poliziotti lasciarono i posti di lavoro per tuffarsi nella corsa all’oro.
I cercatori d’oro arrivano da tutto il mondo
Ben presto la notizia si diffuse anche in Europa e cominciarono ad arrivare in Australia navi cariche di avventurieri che speravano di fare fortuna scavando nelle miniere: nonostante le durissime condizioni della traversata, il numero dei viaggiatori aumentava di continuo e le partenze dall’Inghilterra si susseguivano a una distanza di appena ottanta giorni l’una dall’altra. Molti provenivano dalla Scozia e dall’Inghilterra, seguiti a raffica dai cinesi che venivano spesso perseguitati. Ammirati per converso per la loro diligenza, infaticabilità e produttività, i cinesi, che viaggiavano in massa, si spostavano rapidamente da un’area all’altra. Purtroppo non abbiamo testimonianze di parte cinese ma la loro presenza è ben documentata dai ritrovamenti archeologici e dagli oggetti conservati dai membri delle comunità oltre che dai giornali locali che non di rado riportavano e commentavano le loro caratteristiche somatiche distintive, le loro usanze e abitudini, il loro modo di vestire e di parlare.
La situazione precipita
Minatori Cinesi
Quando le cose cominciarono a mettersi male, i primi a farne le spese furono proprio i cercatori d’oro cinesi: nel corso di violente sommosse contro i cinesi a Turon (1853), Meroo (1854), Rocky River (1856), Tambaroora (1858), Lambing Flat, Kiandra e Nundle (1860-61)e Thinga (1870) numerosi cinesi furono usati come capro espiatorio. Visti prima come una risorsa erano adesso divenuti dei pericolosi rivali. Pian piano le persone si resero conto che l’oro non era la benedizione sembrata all’inizio e cominciarono a tornare verso le città in cerca di un’occupazione e di una casa. Poiché vi erano vaste aree di terreno non utilizzate, gli ex cercatori chiesero la possibilità di insediare delle fattorie come avevano fatto gli ‘occupanti’ prima di loro. Questa proposta collimava con le nuove esigenze delle colonie australiane che, visto l’aumento improvviso della popolazione, si trovavano a dover fronteggiare una più ampia richiesta di cibo, abiti e case. Le conseguenze economiche furono di indubbia crescita per l’Australia europea.
Conseguenze positive della corsa all’oro in Australiana
Una conseguenza certo non trascurabile dell’imponente flusso migratorio negli anni della corsa all’oro fu l’importazione dall’Europa e dagli Stati Uniti delle idee egualitarie e democratiche che sostenevano i diritti dell’individuo. Nel giro di pochi anni il diritto di voto, riservato ai soli proprietari terrieri fino al 1850, fu chiesto a gran voce da tutti gli uomini e successivamente anche dalle donne. I nuovi arrivati avevano bisogno di terra e i governi coloniali, poiché il diritto di usufrutto da parte degli ‘occupanti’ era terminato nel 1861, approvarono dei Selection Acts. Queste leggi prevedevano la possibilità per la gente di scegliere un lotto di terra e di acquistarlo a un prezzo vantaggioso durante un’asta pubblica. Gli acquirenti per un anno erano vincolati a vivere sul terreno acquisito apportando delle migliorie come la costruzione di capannoni, dighe e recinzioni. Per scongiurare il rischio di vedersi sottrarre la terra, gli ‘occupanti’ provarono a scoraggiare i nuovi arrivati con ogni mezzo.
Il disagio nelle città australiane
Nel frattempo molti degli ex minatori che si erano riversati nelle città tentavano di trovare un impiego nelle nuove industrie manifatturiere mentre i sobborghi di Sydney si espandevano a vista d’occhio. L’acqua, le fognature e i trasporti stentavano a essere introdotti e la salute pubblica divenne rapidamente un problema urgente. Le donne che erano giunte con la prospettiva di lavorare in qualità di domestiche si resero conto che le condizioni di lavoro in questo settore non erano più così buone e che un impiego più remunerativo lo offrivano le industrie tessili e alimentari. Gli immigrati qualificati per il lavoro in miniera, per la fresatura dell’acciaio e i commerci marittimi vennero persuasi a lavorare con la promessa di paghe migliori. L’economia conobbe un forte impulso, tuttavia una terribile siccità, protrattasi per quattro anni a partire dal 1890, comportò un blocco delle attività produttive con conseguenze devastanti in termini di disoccupazione e povertà che si espressero molto spesso sotto forma di sciopero nelle fabbriche.
Nascita del partito laburista in Australiana
Manifesto del partito Laburista, Melbourne, 1856
Come reazione alla crisi economica, le colonie istituirono un governo federale destinato a gestire i salari e i contratti di lavoro, la difesa, le poste e i telegrafi, l’immigrazione e il social welfare.
Il movimento dei lavoratori capì in fretta che i continui scioperi non avrebbero condotto ad alcun miglioramento nelle condizioni degli operai né alle tanto agognate riforme progressiste. La soluzione era la rappresentanza politica e la conseguente possibilità di accedere ai posti di governo, così nel 1891 vide la luce il partito laburista australiano.
La politica razzista in Australia
Charles Kingston, premier del South Australia, nel 1891 si esprimeva, non senza una punta di xenofobia, a favore della necessità di difendere l’Australia dall’invasione di stranieri, asiatici, criminali, poveracci e altri esponenti di classi sociali indesiderabili. Le parole del primo ministro erano espressione di un clima diffuso al volgere del secolo nelle sei colonie australiane (New South Wales.
Tasmania, South Australia, Victoria, Queensland e Western Australia) dovuto alle conseguenze di una severa crisi economica, costellata di scioperi nelle fabbriche, che aveva colpito il continente australiano in seguito a una protratta siccità cominciata nel 1890. In un simile contesto, i nativi australiani, che ormai rappresentavano il settanta per cento della popolazione, sentirono l’esigenza di limitare la concorrenza dei migranti asiatici, cinesi in special modo, lavoratori infaticabili giunti in Australia durante la corsa all’oro. Il modo migliore per difendersi sembrò allora quello di confederarsi.
La nascita del Commonwealth australiano
Fino al 1880, abitanti e governanti delle sei colonie australiane, tutte reciprocamente autonome quando non rivali, dimostrarono poco interesse verso la prospettiva di un’unificazione e gli influenti uomini d’affari parevano piuttosto interessati a difendere le basi della loro ricchezza. Con la crisi economica le cose cambiarono: la disoccupazione, la concorrenza cinese, il crescente sentimento nazionalistico e l’incremento delle comunicazioni tra le colonie, conseguente alla diffusione mondiale del telegrafo, furono i fattori che indussero le colonie a fare fronte unico innanzitutto per attuare una comune politica sull’immigrazione.
La federazione avrebbe consentito il libero scambio di merci tra gli stati membri proteggendoli dalle importazioni e da chiunque non fosse bianco. Gli ufficiali della dogana, che riscuotevano tutte le tasse più cospicue, erano anche responsabili della quarantena degli immigrati e dell’applicazione del Passenger Act. Questo documento, risalente al 1852, obbligava i comandanti delle navi che approdavano in Australia a stilare delle rigorose liste dei passeggeri che venivano controllate prima che gli ufficiali perquisissero la nave e che i passeggeri potessero scendere a terra.
Prima del 1852 non vi era nessun obbligo di stilare liste dei passeggeri. Mettere insieme le sei colonie però non fu affatto impresa semplice e solo dopo molti contrasti e defezioni durante le trattative si giunse alla creazione di una Costituzione federale: Nel 1900 una serie di referendum decretò definitivamente la scelta del popolo delle colonie australiane a favore della federazione e il primo gennaio del 1901 il Commonwealth australiano vide la luce in una solenne cerimonia al Centennial Park di Sydney; a marzo ci furono le prime elezioni e il nove di maggio il parlamento aprì ufficialmente le porte.
Alle elezioni poterono votare le sole donne del South Australia mentre le suffragette del Western Australia avevano auspicato che tutte le donne australiane avessero il diritto di votare in tempo per la nascita della federazione. Immediatamente dopo le celebrazioni fu chiaro che la federazione aveva bisogno di una capitale perciò venne indetto un concorso per progettarne le nuove caratteristiche: lo vinse una coppia di architetti americani che portò l’Art decò nel bush australiano.
L’Immigration Restriction Act
Donna tenta di tenere fuori un immigrato
Nel 1907, assieme a Canada, Nuova Zelanda e Sudafrica, l’Australia era ancora ufficialmente un dominio britannico. Sebbene gli australiani avessero eletto un parlamento in grado di legiferare autonomamente, l’Inghilterra manteneva un ferreo dominio sulla difesa e sulle politiche straniere: l’Australia non possedeva una propria flotta e le era proibito stipulare trattati con altre nazioni. Le cose però cominciavano a cambiare infatti, conscia del fatto che la Gran Bretagna non possedeva basi militari importanti nel Pacifico e spaventata da un trattato stretto di recente dagli Inglesi con il Giappone, l’Australia cominciò a costruire la propria flotta nel 1909.
Tuttavia gli australiani erano ben consci delle proprie radici inglesi, dalle quali non avevano nessuna intenzione di distaccarsi ma che volevano anzi preservare rimanendo una nazione di bianchi che viveva secondo i costumi britannici. A ciò si aggiungeva che le società commerciali temevano la concorrenza degli asiatici per cui non stupisce che una delle prime leggi approvate dal neonato parlamento fu l‘Immigration Restriction Act.
Questa legge, che assieme al Pacific Islanders Labour Act e al Post and Telegraph Act, viene oggi ricordata come un’infame pagina della politica razzista australiana, rendeva di fatto impossibile per i migranti asiatici o provenienti dalle isole del Pacifico la possibilità di emigrare in Australia. Infatti, secondo quanto il testo della legge sanciva, chiunque volesse trasferirsi in Australia doveva superare un test che consisteva in un dettato in una qualunque lingua europea.
Nel 1905 la legge fu cambiata e il dettato poteva essere richiesto in una qualunque lingua. Ovviamente la maggior parte degli asiatici fallivano il test e potevano entrare solo con strettissime limitazioni e se avevano uno sponsor ben inserito. Il test del dettato veniva utilizzato sia dai doganieri non appena i passeggeri scendevano dalle navi o dai battelli, sia dalla polizia quando era in cerca di immigrati irregolari.
La prima guerra mondiale in Australia
La situazione in Europa
All’inizio del Novecento la Germania, nata nel 1871 grazie all’intervento del cancelliere Otto von Bismarck che aveva unificato gli stati tedeschi, era una potenza militare di rilievo dotata di un esercito forte ma sprovvista di una flotta imponente come quelle di Gran Bretagna e Francia nonché dei loro domini extraterritoriali. Tuttavia la Gran Bretagna, che pure possedeva un vasto impero, temeva il crescente potere della Germania e non voleva che acquisisse altre colonie.
I francesi nel 1871 avevano perduto dei ricchi territori che erano andati alla Germania e adesso alcuni volevano vendetta altri avevano paura del potente nemico. Anche la Russia cominciava a preoccuparsi per il potere della Germania e mirava al controllo sui Balcani, che includevano Serbia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Albania e Grecia, per garantire la possibilità di transito alle proprie navi nel Mediterraneo.
I Balcani erano noti allora come la ‘polveriera d’Europa’, e tutte le nazioni più importanti aspiravano al controllo su di essi. Anche l’Austria, che nel 1876 si era unita all’Ungheria, col malcontento di molti ungheresi, per formare un unico grande impero, temeva il controllo russo nei Balcani e voleva garantirsi il dominio su quell’area. Proprio per via del suo controllo sull’Ungheria, la Serbia odiava l’Austria e tentava di fomentare rivolte contro di essa. La Turchia, un impero ormai vecchio e decrepito, temeva sia i russi che gli austriaci nei Balcani. In questo clima di tensioni e odi reciproci esplose la Prima guerra mondiale.
Lo scoppio della Prima guerra mondiale
Nel 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando, membro della famiglia reale austriaca, fu assassinato in Serbia: questa fu la scintilla che fece esplodere il conflitto e immediatamente l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. Poiché in Europa si erano configurate una serie di alleanze a scopo difensivo, la maggior parte delle nazioni furono immediatamente trascinate nel conflitto. Così fu per la Russia, alleata della Serbia, e per la Germania, alleata dell’Austria. A sua volta la Russia faceva parte di un patto chiamato Triplice Intesa, cui appartenevano anche Francia e Inghilterra, mentre la Germania apparteneva alla Triplice Alleanza con Italia e Turchia, così tutte queste nazioni entrarono simultaneamente in guerra.
La Prima guerra mondiale in Australia
Quando l’Inghilterra entrò in guerra con la Germania, anche l’Australia, ancora vincolata alla politica difensiva britannica, si trovò a parteciparvi rifornendo truppe e altre risorse. I volontari furono anzi così tanti che lo stato non fu in grado di provvedere il numero di uniformi sufficienti né gli approvvigionamenti. Quelli che non si arruolavano lavoravano nelle fattorie: i coltivatori ampliarono le piantagioni di grano nella convinzione fondata che il governo avrebbe avuto bisogno di più cibo per i suoi soldati mentre gli allevatori vendettero la lana al Commonwealth affinché potesse provvedere per le uniformi.
Tutti gli australiani furono in un modo o nell’altro coinvolti nella guerra e così le famiglie, che pagavano tasse più alte per sostenere lo sforzo militare, tenevano memoria delle battaglie appuntando degli spilli sulle cartine geografiche. Nel 1914 fu approvato il War Precautions Act, una legge che consentiva al governo un controllo ancora maggiore sulla vita delle persone.
I tedeschi in Australia durante la Prima guerra mondiale
All’esplodere del conflitto in Australia vivevano circa trentamila persone di origine tedesca e nel 1915 per questi immigrati cominciarono anni di persecuzioni. Gli uomini, tedeschi o austriaci che fossero, in grado di imbracciare le armi furono rinchiusi in campi di internamento. Trial Bay Gaol, Berrima Gaol e Holsworthy erano i principali in New South Wales. Donne e bambini vennero invece internati a Molonglo.
Quelli che rimasero fuori vennero tenuti costantemente d’occhio dalla polizia e dai loro stessi vicini di casa. Molti persero il lavoro, altri videro i loro affari andare in fumo, alcuni si internarono volontariamente per consentire a moglie e figli di vivere con un’indennità governativa. Ci fu anche chi tentò di cambiare nome o di nascondersi ma venire scoperti significava il rischio di essere pestati a morte da folle di militanti. Come se non bastasse le loro chiese e scuole furono chiuse, la musica bandita, ai cibi venne cambiato nome così come alle città o ai luoghi di chiara origine tedesca. Commercianti, uomini d’affari, marinai e coltivatori di tè che si trovavano nel sud est asiatico furono arrestati e internati.
Il nazionalismo australiano
Parallelamente ai sentimenti anti-tedeschi, cresceva negli australiani il nazionalismo, specie dopo alcune battaglie in Francia che comportarono il ferimento e la mutilazione di connazionali. La propaganda nazionalistica, oltre a puntare il dito contro la comunità tedesca in Australia, invitava gli uomini in età militare ad arruolarsi per rimpiazzare le perdite.
Nazionalismo e anti-germanesimo erano i punti di forza della campagna per l’arruolamento sostenuta da Billy Hughes. Anche molti immigrati tedeschi sposarono la causa australiana e si unirono alla Australian Imperial Force per combattere sul fronte occidentale, tuttavia questo non bastò perché i comportamenti razzisti cessassero. George Heinecke, un tedesco australiano che aveva perso in guerra due figli e tre nipoti (altri due nipoti erano feriti e prigionieri) dichiarò in una lettera al governo che nonostante il sacrificio della sua famiglia le esternazioni xenofobe nei loro confronti non solo non erano cessate ma nemmeno diminuite.
La memoria dei caduti australiani
Anche per l’Australia, come per tutte le altre nazioni che vi parteciparono, la Prima guerra mondiale fu una vera e propria carneficina: più della metà della popolazione maschile adulta si era arruolata e ora veniva ricordata attraverso monumenti ai caduti, obelischi e dediche di strade. Degli Aborigeni si arruolarono tra i quattro e i cinquecento uomini ma non ci fu spazio per il cordoglio nei loro confronti e le madri furono abbandonate sole al loro dolore.
La fine della guerra
Nel 1917 un sottomarino tedesco silurò un cargo e una nave passeggeri americani e questo determinò l’entrata degli Stati Uniti nel conflitto con il conseguente arrivo di circa un milione di soldati in Europa. Nel frattempo in Russia la Rivoluzione d’Ottobre depose il governo zarista e portò a un trattato con la Germania e al ritiro delle truppe russe dal conflitto.
Dovettero ritirarsi anche le truppe di Austria, Ungheria e Turchia, alleate della Germania e ormai troppo indebolite. Priva di supporti e costretta a dover affrontare da sola l’esercito statunitense nel pieno delle sue forze, la Germania non ebbe altra scelta che accettare la sconfitta e nel Novembre 1918 la firma dell’armistizio segnò la fine del conflitto. Ma il mondo non sarebbe più stato lo stesso.
Le conseguenze della prima guerra mondiale
Quasi come se i morti non fossero stati abbastanza, la prima guerra mondiale si portò dietro come strascico una terribile epidemia: la febbre spagnola, portata dai soldati di ritorno dai campi di battaglia e responsabile della morte di milioni di persone in tutto il mondo. L’Australia non era certo nuova alle epidemie di importazione infatti nel 1900 era arrivata la peste bubbonica che aveva mietuto in sette mesi un centinaio di vittime, nulla se confrontato ai numeri della febbre spagnola.
La peste era giunta sulle navi provenienti da altre nazioni e perciò il porto era stato messo in quarantena, tuttavia il provvedimento non fu sufficiente a fermare il contagio e il governo, poiché la malattia veniva diffusa dai topi, decise di elargire delle ricompense per incentivarne la caccia. Il governo così era ben preparato ad affrontare l’epidemia di Spagnola che tra il 1919 e il 1920 strappò alla vita quasi dodicimila australiani: vennero introdotte rigide misure per la salute pubblica e un ospedale per malattie infettive fu messo in piedi a Sydney nella zona di Long Bay, le sedi di stazionamento per la quarantena vennero ampliate e in esse furono accolti tutti i migranti e i marinai potenziali portatori di contagio.
Il ritorno dei soldati australiani
Di ritorno dalla Prima guerra mondiale, i soldati australiani sopravvissuti si resero conto che per loro non c’era nessuna possibilità di lavoro perciò il governo federale, convinto che i veterani si meritassero una ricompensa per il loro sacrificio approvò il Soldier Settler Scheme. Si trattava di un piano secondo cui i governi dei singoli stati avrebbero dovuto fornire agli ex-soldati la terra per fondare delle fattorie mentre il governo federale li avrebbe sostenuti con dei fondi per avviare l’attività.
Per ironia del destino la maggior parte della terra libera nel New South Wales si trovava nella zona di Riverina, occupata per la maggior parte da una comunità tedesca prima della guerra. Oltre trentasettemila soldati ricevettero la terra e aprirono delle fattorie ma nel 1929 più della metà erano fallite per via della perdurante siccità , dell’inesperienza dei veterani nelle questioni di agricoltura e allevamento e, non da ultimo, a causa del crollo dei prezzi. A risollevare la situazione furono gli immigrati italiani che portarono la loro esperienza nella gestione delle fattorie e introdussero le tecniche di vinificazione trasformando le fattorie abbandonate in affari d’oro.
Problemi economici del governo australiano
Subito dopo la fine della guerra il governo federale australiano era seriamente intenzionato a promuovere lo sviluppo delle aree regionali ma erano necessarie manodopera, soldi e dei mercati in cui smerciare i prodotti. Per questa ultima cosa però gli australiani dipendevano ancora dalla Gran Bretagna e perciò gli immigrati britannici furono incoraggiati a stabilirsi in Australia. Proprio come ai veterani, fu loro promessa la terra e i mezzi per coltivarla ma, proprio come i veterani, si rivelarono inesperti nella gestione delle fattorie, che presto abbandonarono, poiché la maggior parte di loro proveniva dalle città.
Sebbene fossero stati attratti in Australia con la promessa di successo e il governo avesse pagato loro la maggior parte delle spese, nessuno li aveva informati delle difficoltà che avrebbero dovuto fronteggiare come la ricerca di una casa, di un lavoro e in generale lo stabilirsi in una nuova nazione. Degli oltre duecentomila immigrati britannici che arrivarono in Australia nei primi decenni del Novecento, quasi tutti si riversarono nelle città. A complicare la situazione il governo aveva incessante bisogno di fondi per finanziare i propri progetti, le pensioni dei veterani e il Soldier Settler Scheme. Bisognava costruire strade, ferrovie, scuole e ospedali e rifornire le case di acqua ed energia elettrica.
Inoltre c’erano gli interessi dei debiti contratti nel 1920 con le banche inglesi che furono, insieme alle industrie di armi, i veri beneficiari della guerra. In ogni caso grazie agli sforzi fatti le fattorie cominciarono a produrre di più e nel 1920 la loro produzione toccò livelli mai visti prima. Tuttavia la popolazione australiana non era abbastanza numerosa per consumare il surplus e si rese necessario trovare nuovi mercati per esportare i prodotti in eccesso; l’impresa però non era affatto semplice perché i domini britannici avevano un accordo commerciale che prevedeva la reciproca esclusività di import-export al fine di ridurre le tasse e mantenere i prezzi bassi. La Gran Bretagna dal canto suo continuò a comprare la maggior parte del grano e della lana australiana.
La Grande depressione arriva in Australia
Per molti gli anni Venti furono un bel periodo, ricordato negli annali come i ‘Ruggenti anni Venti’. Nel 1929 però le cose cominciarono a non andare più tanto bene e l’economia mondiale subì una grave battuta d’arresto: il prezzo dei prodotti rurali crollò e i contadini riuscivano a stento a venderli oltre mare, la stessa cosa avvenne coi beni prodotti in città; la produzione rallentò e i lavoratori furono licenziati cosicché il tasso di disoccupazione arrivò al dieci per cento. Per gli immigrati e i veterani già in difficoltà, le cose peggiorarono ulteriormente.
Nel 1929 l’economia si trovò in una fase di stallo che prese il nome di Grande depressione. La Grande depressione era iniziata negli Stati Uniti dove all’inizio del secolo l’economia aveva conosciuto una grande fase di espansione e molte persone avevano investito tutti i loro risparmi in titoli azionari. Quando lo spettro della recessione economica bussò alla porta d’America, gli investitori presi dal panico cominciarono a vendere in massa i titoli: il prezzo delle azioni crollò e questo generò un nuovo aumento delle vendite instaurando un circolo vizioso. Nell’ottobre del 1929 il mercato azionario crollò e le conseguenze si fecero sentire in tutto il mondo. Nel’29 infatti gli Stati Uniti e l’Inghilterra erano i principali investitori nei progetti d’oltreoceano ma nel 1930 gli Stati Uniti posero fine agli investimenti e chiesero agli altri paesi di ripagare i debiti dovuti, inoltre limitarono le importazioni sulle quali applicarono pesanti dazi.
La Gran Bretagna, che doveva una fortuna agli Stati Uniti, si rivolse all’Australia, chiedendole indietro i milioni di pound prestati ma anche l’Australia era a corto di fondi: poiché le persone avevano perso il lavoro non potevano pagare le tasse né acquistare beni di consumo. A soffrire di questa situazione erano principalmente i lavoratori non specializzati con le relative famiglie e i nuovi immigrati ancora in fase di adattamento. Le baraccopoli cominciarono a diffondersi a Blacktown, Sans souci e La Perouse. La gente giurò che questo non sarebbe mai più dovuto accadere e il governo australiano nel 1930 si fece carico del social welfare.
La reazione degli australiani
Difronte al disastro economico la gente si avvicinò a organizzazioni politiche che promettevano la soluzione di tutti i problemi. L’Australian Communist Party e la New Guard nel New South Wales riflettevano la diffusione in Europa del comunismo e del fascismo giunti in Australia con gli immigrati europei.
Molti organizzatori dei gruppi provenivano dall’Inghilterra mentre gli ebrei tedeschi in fuga dalle persecuzioni naziste importarono le idee della sinistra intellettuale. La maggior parte dei membri della New Guard erano invece ex-soldati che vedevano la soluzione dei problemi in termini militari be auspicavano un governo forte in grado di gestire ogni questione col pugno di ferro. Alcuni gruppi adottarono come simbolo la bandiera nazista raffigurante una svastica su sfondo nero. Nel 1930 le cose cominciarono a migliorare: la gente trovava lavoro più facilmente e le fattorie tornavano a produrre ma la Grande depressione aveva lasciato delle profonde cicatrici anche in Australia. Tra il 1930 e il 1939 la produzione australiana si era completamente arrestata così come l’immigrazione e il tasso di natalità si era attestato su livelli bassissimi. In molti avevano perso la fiducia nelle capacità del governo australiano di gestire le problematiche economiche.
Il ponte di Sydney
Costruzione del Sydney Harbour Bridge
Mentre l’Australia usciva dalle tenebre della crisi economica, il Sydney Harbour Bridge divenne il simbolo di un futuro migliore. I lavori per la sua costruzione erano cominciati nel 1924 e comportarono la demolizione di oltre settecento abitazioni cambiando per sempre il volto dei sobborghi di Millers e Milson Point. Il primo arco fu iniziato nel 1928 e il 19 agosto 1930 gli abitanti di Sydeny poterono assistere all’unificazione delle due metà. L’opera fu subito considerata una delle meraviglie del mondo moderno. Le proposte di unire il lato nord e quello sud del porto risalivano al 1815 quando ad avanzarle era stato l’architetto Francis Greenway ma i progetti non erano mai stati realizzati a causa delle difficoltà tecniche di costruire un lungo ponte al di sopra di una vasta area di acque a rapido scorrimento.
La competizione mondiale, indetta per il progetto del ponte, vide l’avanzamento di venti proposte presentate da sei diverse compagnie. Fu l’inglese Dorman Long & Co. Di Middlesbourgh a vincere e a firmare un contratto da oltre quattro milioni di sterline il ventiquattro marzo del 1924.
Il ponte fu inaugurato nel 1932 e il premier del New South Wales Jack Lang tenne il discorso di apertura ma fu interrotto dal capitano Francis de Groot della New Ward che al galoppo tagliò il nastro inaugurale in nome di tutti i cittadini rispettabili del New South Wales. Il capitano fu prontamente arrestato per disturbo alla quiete pubblica. Fu preparato un nuovo nastro e Lang potè portare a termine l’inaugurazione. Per l’occasione era stata organizzata una grande parata alla quale parteciparono studenti, operai, politici, burocrati e perfino dei santoni che camminavano sui carboni ardenti. Un cronista scrisse che quell’evento rendeva gli australiani orgogliosi di esserlo. Al termine della marcia al pubblico fu consentito di passeggiare sul ponte prima dell’apertura al traffico serale. La cerimonia terminò con una dimostrazione di fuochi d’artificio.
L’Australia entra nella Seconda guerra mondiale
Alla fine della Prima guerra mondiale, nel 1918, l’umanità intera credeva che fosse giunto il termine di ogni guerra; vista la carneficina e i danni provocati dal conflitto, una nuova impresa bellica era quanto di più lontano si potesse immaginare e il mondo si preparava speranzoso a guardare verso un futuro di pace.
Queste aspettative purtroppo erano destinate a essere presto disilluse e poco più di venti anni dopo la fine del primo conflitto mondiale una seconda guerra, più dannosa, distruttiva e dispendiosa della precedente, si scatenò ancora una volta a partire dall’Europa.
Le origini della Seconda guerra mondiale
Uscita sconfitta dalla Prima guerra mondiale e costretta a pagare un prezzo salatissimo, la Germania nel 1920 nutriva non poco risentimento nei confronti degli Alleati per via del trattamento riservatole. Tra i soldati della Prima guerra vi era Adolf Hitler che dopo l’armistizio si unì a un piccolo gruppo politico noto come Partito nazionalsocialista dei lavoratori. Il suo potere nel gruppo crebbe rapidamente e ben presto Hitler fu in grado di trasformarlo in una struttura bel organizzata che chiamò Partito nazista.
Nel’23 il partito tentò per la prima volta di rovesciare il governo tedesco ma il tentativo non andò a buon fine e Hitler dovette scontare nove mesi di carcere durante i quali scrisse il Mein Kampf , opera in cui spiegava in che modo secondo lui la Germania sarebbe potuta diventare una nazione grande e potente ed esponeva le sue teorie e opinioni sulla razza, in particolar modo sugli ebrei. La Germania fu duramente colpita dalla Grande depressione e nel 1930 oltre sei milioni di lavoratori persero il proprio impiego. Hitler promise che avrebbe sistemato le cose e il partito nazista salì al governo. Adolf Hitler divenne il premier della Germania. Dopo un solo anno Hitler riuscì a sbarazzarsi completamente del governo democratico e a insediarsi come dittatore. Subito cominciò a ricostruire l’esercito e la flotta tedesca e a stilare i suoi piani per l’ampliamento dei confini della Germania.
Nel frattempo l’Italia, sotto il governo fascista di Benito Mussolini, aspirava ugualmente all’acquisizione di nuovi territori e lo stesso poteva dirsi del Giappone retto dall’imperatore Hirohito che era a capo di un governo militare. Nel 1937 i tre paesi firmarono un accordo di mutua assistenza così ancora una volta, proprio come agli albori della Prima guerra mondiale, delle nazioni firmavano un trattato per sostenersi reciprocamente in un’impresa bellica. I progetti di Hitler prevedevano l’inclusione nei confini tedeschi dei paesi germanofoni: Austria, Cecoslovacchia e Prussia dell’est (l’attuale Polonia) e sebbene Francia e Regno Unito fossero preoccupate riguardo alla situazione, per scongiurare il pericolo di una nuova guerra preferirono adottare una politica di pacificazione. Così nel ’39 la Germania invase l’Austria e una parte della Cecoslovacchia e, se Hitler si fosse fermato lì, per Francia e Gran Bretagna non ci sarebbe stato nulla da ridire, ma non lo fece e si spinse oltre occupando tutta la Cecoslovacchia. Francia e Inghilterra, rendendosi conto che il pericolo della guerra era imminente, ammonirono la Germania ad arrestarsi lì dove si trovava avvisando che se la Polonia veniva invasa sarebbe stata una dichiarazione ufficiale di guerra. E le cose andarono proprio così: Hitler invase la Polonia nel settembre del 1939 e fu di nuovo guerra.
L’Australia e la Seconda guerra mondiale
Sebbene l’Australia fosse una nazione indipendente all’interno del Commonwealth e non era perciò tenuta a dichiarare guerra alla Germania, il forte senso del dovere degli australiani nei confronti del Regno Unito e del suo popolo prevalse e l’Australia dichiarò guerra immediatamente. Mentre era impegnata nelle operazioni di reclutamento e addestramento delle truppe, quello che andava avanti in Europa nel 1940 sembrò una sorta di conflitto fasullo, perciò molte persone persero interesse per la guerra stessa. La situazione cambiò radicalmente il 7 dicembre del 1941 quando il Giappone attaccò la flotta statunitense nel Pacifico di stanza a Pearl Harbour nelle Hawaii.
Il giorno successivo Stati Uniti e Gran Bretagna dichiararono guerra al Giappone e così fece anche l’Australia che per la prima volta nella sua storia si trovò a essere minacciata da un paese nell’area del Pacifico. Proprio come durante la Prima guerra mondiale, in occasione del nuovo conflitto il governo australiano varò delle leggi che gli consentirono un maggiore controllo sulla vita delle persone: tedeschi e italiani furono internati nei campi di concentramento, le organizzazioni fasciste e comuniste messe al bando, tutti i media vennero censurati, i prezzi furono bloccati e il governo prese il controllo dei trasporti, dei porti e delle banche; fu introdotto il servizio militare obbligatorio. I campi di internamento per italiani e tedeschi furono costruiti a Holsworthy, a Cowra per i giapponesi. Altri campi si trovavano ad Hay, Tatura e Leeton.
Pian piano gli interessi e la tradizionale lealtà dell’Australia nei confronti della Gran Bretagna cominciarono a spostarsi verso gli Stati Uniti soprattutto dopo che l’inglese Garrison si era arreso ai giapponesi nel 1942 a Singapore. In quella occasione molte truppe australiane furono fatte prigioniere. Gli australiani inoltre rimasero ammirati dall’influenza che le oltre centomila truppe statunitensi ebbero durante il conflitto. Prima e dopo la guerra le pellicole hollywoodiane introdussero la cultura americana in Australia e le truppe durante la guerra portarono la Coca Cola, gli hot dog e tutto l’universo del pop americano. Questi eventi rappresentarono un punto di svolta per la cultura australiana che sfociò nella rivoluzione giovanile degli anni Cinquanta e Sessanta. Dopo sei anni di guerra nel 1945 la Germania e il Giappone furono sconfitti e molti italiani e americani tornarono in Australia per riagganciare dei rapporti e cercare una vita migliore come molti migranti prima di loro avevano fatto.
L’emigrazione in Australia dopo la Seconda guerra mondiale
Alla fine della guerra in Europa regnava il caos: la Germania era un cumulo di macerie e i restanti paesi erano suddivisi tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. L’Europa occidentale era infatti sostenuta dagli americani mentre l’Europa dell’est era occupata dall’Unione sovietica. Molte persone cominciarono a emigrare verso l’Australia e gli Stati Uniti per tentare di sfuggire all’oppressione dell’URSS.
Inoltre silenziosa e strisciante la Guerra fredda rendeva tangibile il rischio di una guerra nucleare ed erano in molti a credere che l’Australia fosse un posto sicuro per vivere nonostante i pericoli minacciati. Si calcola che tra il 1945 e il 1965 più di due milioni di immigrati giunsero in Australia per la maggior parte assistiti in tutto e per tutto dal governo del Commonwealth; in cambio dovevano rimanere in Australia per almeno due anni accettando qualunque lavoro che il governo procurava loro.
Le ondate migratorie post-belliche in Australia
La prima grande ondata migratoria post-bellica riguardò soprattutto gli sfollati cioè quelle persone che abbandonavano i paesi d’origine perché distrutti dalla guerra o occupati dall’Unione sovietica. Tra il ’47 e il ’53 il governo australiano diede assistenza a circa centosettanta mila persone per aiutarle a emigrare in Australia. La seconda ondata arrivò tra gli anni Cinquanta e i Sessanta e fu composta principalmente da persone in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori. Queste aspettative vennero sostanzialmente realizzate.
Molti migranti trascorsero i loro primi mesi in Australia negli ostelli mentre cercavano una casa. Alcuni trovarono lavoro nello Snowy Mountains Hydro Electric Scheme, altri nelle fattorie e altri ancora dovettero adattarsi ai lavori più duri e pesanti nelle industrie. Non sempre i lavoratori specializzati riuscivano a trovare degli impieghi consoni alla loro preparazione e dovevano accettare quello che capitava. Tutti gli immigrati poi, in special modo quelli che non parlavano bene l’inglese, erano costantemente oggetto dei pregiudizi più vari.
L’Australia partecipa al piano di Colombo
Nel 1951 venne varato il piano di Colombo grazie al quale i paesi più sviluppati del Commonwealth si impegnavano ad aiutare le nazioni meno fortunate. Uno dei motivi per cui il governo australiano accettò di partecipare al progetto fu la necessità di ristabilire rapporti pacifici con i paesi asiatici che erano stati vittime della White Australia Policy. Successivamente si unirono altre nazioni cosicché a fornire aiuto ai paesi meno sviluppati si trovarono Australia, Nuova Zelanda, Canada, Gran Bretagna, Giappone e Stati Uniti.
Le nazioni beneficiarie dell’aiuto furono, tra le altre (venti in tutto), Bangladesh, India, Indonesia, Laos, Malaysia, Pakistan e Thailandia. I paesi benestanti offrirono alle nazioni in via di sviluppo garanzie e prestiti per sostenere l’industria e l’agricoltura. Nel solo 1953 l’Australia elargì per il progetto cinquantanove milioni di dollari. Studenti stranieri furono portati in Australia per formarsi e al termine dei loro studi ritornavano nei paesi di origine per aiutare la propria gente con le conoscenze apprese. Nel 1985 c’erano tremilacinquecento studenti stranieri le cui spese di mantenimento vennero interamente coperte dal governo australiano.
L’Australia nella seconda metà del Novecento
I rifugiati avevano iniziato ad arrivare in Australia con la Seconda guerra mondiale: i primi arrivavano dai paesi dell’Europa dell’est occupati dall’Unione sovietica; successivamente arrivarono cechi, ungheresi, greci e cileni in fuga da guerre civili e persecuzioni; infine tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta i rifugiati giunsero dai paesi asiatici come il Vietnam e la Cambogia in fuga da rivoluzioni e persecuzioni.
Nuove politiche di immigrazione del governo australiano
Tra il 1945 e il 1970 il governo australiano aveva incoraggiato l’immigrazione soprattutto di cittadini britannici ed europei in generale ma negli anni Settanta questo atteggiamento cambiò e persone provenienti da altri paesi furono incoraggiate a venire in Australia. Cominciarono così ad arrivare migranti dall’Asia, dal Medio Oriente e dall’America latina proprio come dall’Europa. Ma a differenza dei migranti volontari i rifugiati avevano abbandonato i loro paesi d’origine per via della guerra o delle persecuzioni e l’Australia, seriamente intenzionata ad aiutare gli abitanti di paesi meno fortunati, aveva firmato un accordo delle Nazioni Unite per l’accoglienza dei rifugiati.
L’Australia e il Vietnam
Dopo che i comunisti presero il potere in Vietnam alla fine degli anni Settanta, migliaia di persone terrorizzate dal nuovo governo abbandonarono il paese a bordo di piccole imbarcazioni. La prima che raggiunse l’Australia arrivò a Darwin nel 1978 e per gli Australiani divenne immediatamente chiaro il problema dei rifugiati. Entro la fine del 1979 arrivarono sulle coste australiane più di duemila barconi carichi di immigranti superando la difficile traversata. Molti di più affondarono tentandola. Nel 1979 i funzionari australiani dell’immigrazione selezionarono dai campi di detenzione in Thailandia, Malaysia e Indonesia persone che avevano parenti in Australia, che erano qualificate per uno specifico lavoro e che parlavano bene inglese e le portarono fuori insieme a un piccolo nucleo di studenti e diplomatici.
Nel 1982 il governo vietnamita consentì che i rifugiati lasciassero il paese ed emigrassero verso l’Australia per ricongiungersi con le proprie famiglie senza perseguirli. Nel 1985 più di settantamila rifugiati provenienti dal sudest asiatico, in specie dal Vietnam, si erano stabiliti in Australia. L’arrivo in massa dei vietnamiti comportò un cambiamento forzato nelle politiche di immigrazione mondiali in generale e australiane in particolare e segnò la fine del White Australia Policy accompagnata da un vasto dibattito. Alla fine degli anni Ottanta gli arrivi diminuirono perché diventò più difficile lasciare il Vietnam e molti paesi ridussero il numero di persone alle quali era possibile dare accoglienza. Quando nel 1996 i campi di concentramento in Vietnam vennero chiusi, cominciarono i rimpatri forzati e al governo toccò prendere delle difficili decisioni: molti immigrati infatti erano giunti per ricongiungersi con la famiglia, altri per studiare e lavorare. Così nel 1988, quando si festeggiava il bicentenario dell’arrivo degli europei, l’Australia si trovò a fronteggiare la questione da sempre spinosa della propria identità.
L’Australia multiculturale di oggi
Dopo oltre duecento anni di migrazioni l’Australia è diventata un paese multiculturale al punto che nel 2010 il ventisette per cento degli abitanti risultava nato in altri paesi e si contavano più di cento lingue parlate correntemente. L’Australia ha subito una vera e propria rivoluzione passando dalla rigida cultura britannica del diciannovesimo secolo alla molteplicità di influenze tuttora visibili.
Da isolato avamposto del Regno Unito, si è trasformata in un paese dai cui cittadini ci aspettano apertura e tolleranza come elementi imprescindibili per una vita dignitosa. La popolazione australiana ha raggiunto i ventitré milioni di abitanti nel 2012 ma un’ulteriore crescita non è auspicabile poiché rischierebbe di compromettere il delicato ambiente australiano arrecando danni al suolo, alle coste e al sistema idrogeologico con l’agricoltura intensiva, l’espansione urbana e lo sviluppo industriale. La popolazione australiana insomma non può permettersi di crescere in maniera indefinita.
L’Australia moderna si configura dunque come un paese creativo, ricco di risorse e con elevate capacità di adattamento. Adesso il prossimo passo nell’evoluzione del paese piuttosto che la costruzione di strade, ospedali e scuole o una nuova Snowy Mountains Hydro-Electric Scheme o ancora una National Broadband Network, non potrà che essere l’elaborazione concettuale di una parte dell’identità nazionale. È infatti necessario che l’Australia impari a vivere in maniera più intelligente guardando anche alle tradizioni e alla cultura degli Aborigeni, i primi veri immigrati, per affrontare l’esistenza in maniera sostenibile e in armonia con l’ecosistema del paese.
Bibliografia
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