Stipendi in Australia: crescita lenta
L’Australian Bureau of Statistics (l’Istat locale) ha appena pubblicato i dati circa la crescita degli stipendi nel primo trimestre dell’anno (gennaio-marzo 2016): la tendenza media è un aumento inferiore rispetto alle previsioni. Questo risultato è il peggiore da venti anni a questa parte (cioè dal 1997, quando si è iniziato a raccogliere le informazioni): solo 0,4% di incremento nel settore privato e uno scarso 0,6% in quello pubblico, appena al di sopra del tasso di inflazione. Come mai? Gli australiani sembrano diventare più poveri, anche se la disoccupazione è a un livello non troppo superiore (5,7%) rispetto a quello che viene considerato di piena occupazione (5%) e anche se in generale l’economia non presenta segnali di recessione.
Stipendi: i settori più colpiti
I dati presentati dal Bureau sono divisi per settore e dimostrano come alcuni siano in migliori condizioni rispetto ad altri. Gli incrementi maggiori negli stipendi si sono registrati nel settore dell’educazione e della formazione (+1%), nei trasporti/poste/spedizioni (+0,7%) e nel servizio sanitario e di assistenza sociale (+0,5%). Facendo un confronto con i primi tre mesi del 2015 anche i professionisti della finanza e delle assicurazioni hanno avuto una buona percentuale di crescita. Lo stipendio di chi lavora nel retail è salito poco (+0,4%), mentre il settore accomodation e catering ha registrato un misero 0,2% in più.
A patire di più (con incrementi non superiori allo 0,1%) sono stati l’IT, il settore media e telecomunicazioni e gli agenti immobiliari.
Le ragioni della scarsa crescita degli stipendi
Nella normale dinamica di mercato se i livelli di occupazione salgono gli stipendi tendono a salire di conseguenza. Infatti, per spiegarlo in modo molto semplice, se le aziende alla ricerca di persone trovano masse di possibili candidati (come in un periodo di alta disoccupazione) è chiaro che tendono ad abbassare salari e benefici offerti, mentre se ce ne sono pochi la scarsa concorrenza fa alzare gli stipendi. La situazione australiana al momento presenta un buon livello di occupazione. Quindi, per quali ragioni gli stipendi non stanno crescendo con il ritmo atteso?
La prima possibile spiegazione è il fatto che il buon andamento dell’occupazione è legato all’aumento dei posti di lavoro part-time e occasionali: un lavoratore assunto con questi tipi di contratto non ha la necessaria sicurezza per richiedere un aumento di stipendio e le aziende tendono a non investire su questo tipo di lavoratori. In generale però la situazione economica non giustifica eccessive incertezze e quindi chiedere un migliore trattamento salariale, dicono molti economisti, è possibile.
Una seconda spiegazione che è stata avanzata è invece legata proprio all’alto livello di occupazione: stipendi più bassi significano (e permettono) minore disoccupazione. Tenere gli stipendi bassi consente infatti di dare lavoro a più persone, in un contesto in cui il minore costo del lavoro comporta prezzi inferiori per i generi di consumo e quindi giustifica un altro dato economico significativo: il cosiddetto salario reale (che determina l’effettivo potere d’acquisto delle persone) non ha subito battute d’arresto ma è cresciuto in modo stabile nel corso degli ultimi dieci anni (+0,8%).
In ogni caso, altre ricerche hanno evidenziato come, pur se il livello di disoccupazione in Australia è abbastanza basso, esiste più offerta (lavoratori disponibili sul mercato) che domanda (posti di lavoro che richiedono di essere occupati): un indicatore di come l’economia del Paese abbia al suo interno alcuni tratti di debolezza (in particolar modo la presenza del fenomeno dell’underemployment, vale a dire il fatto di utilizzare un lavoratore sotto le sue capacità, sia per numero di ore – per esempio, chi è costretto a lavorare part-time invece che full-time – sia per skills – come il laureato che trova lavoro solo in un caffè).
A essere maggiormente colpevole per lo scarso incremento degli stipendi sarebbe anche la situazione australiana vista nel contesto più generale dell’economia mondiale. Il Paese ha infatti perso competitività (passando dal 10° al 21° posto negli ultimi 10 anni) e solo recuperandola si potrà dare una spinta decisa verso salari più elevati e il ritorno a una percentuale più alta di crescita.